05.06.2017 - 22:00
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Actualització: 05.06.2017 - 23:00
Il contrasto storico fra i catalani e la Spagna si è aggravato negli ultimi anni. Il rifiuto dell’ esecutivo spagnolo anche solo ad ascoltare le reiterate proposte catalane, per esempio la proposta leale di rinegoziare lo Statuto d’Autonomia del 1979, ha condotto all’attuale punto morto. Un nuovo testo, redatto nel 2005 e approvato dal Parlamento della Catalogna, fu poi depotenziato, cancellando alcuni articoli e ritagliandone altri, dal Parlamento spagnolo. Alla fine, questo nuovo statuto fu ratificato, con rassegnazione, dai catalani attraverso un referendum. Purtuttavia, nel 2010 il Tribunale Costituzionale —tutt’altro che imparziale— decretò che molti articoli erano incostituzionali e ne interpretò restrittivamente molti altri. Il testo risultante, alla fine, ben lontano dal migliorare lo Statuto vigente, servì per limitare ancora di più le possibilità di autogoverno della Catalogna. In realtà, tutto questo processo mise allo scoperto la scarsa volontà spagnola di progredire in questa direzione. A quel punto fu evidente che il sistema territoriale, stabilito nel 1978 dopo un lungo periodo di governo centralizzato, serviva per continuare all’infinito la condizione minoritaria permanente dei catalani in Spagna. Al giorno d’oggi, un numero crescente di catalani considera che la gestione dello stato non tiene conto né delle loro necessità né dei loro interessi. Ormai, molti catalani hanno addirittura perso ogni speranza di ottenere un trattamento equo dall’attuale sistema spagnolo.
Il governo catalano si è impegnato a celebrare un referendum sulla relazione che la società catalana dovrebbe avere con la Spagna: continuare in qualche modo la situazione di subalternità politica oppure costituire una nazione indipendente. Quest’ultima fu la strada scelta dal Canada per il Quebec nel 1995 e dal Regno Unito per la Scozia nel 2014. Le autorità spagnole invece, applicando un’interpretazione ristretta —per non dire di parte— della Costituzione, hanno dichiarato illegale il referendum e si sono mostrate disposte a tutto per impedirlo, cercando in tutti I modi di ostacolarne i preparativi. Di fronte a presunte azioni di disobbedienza dei rappresentanti eletti dai catalani, le istituzioni dello stato sembrano ritornare alle forme dittatoriali del passato arrivando anche a mettere in dubbio le basi dell’ordinamento democratico.
La coalizione che governa la Catalogna ha espresso la sua determinazione a celebrare il referendum. Questa fermezza non si deve considerare una sfida bensí un atto di democrazia. I leader politici si limitano a portare a termine il mandato delle centinaia di migliaia di persone che hanno manifestato pacificamente anno dopo anno dal 2010; dei 2,3 milioni di votanti nella consultazione simbolica nel novembre 2014; dei quasi 2 milioni di elettori che hanno votato liste indipendentiste alle elezioni per il Parlamento della Catalogna nel settembre 2015; dei tre quarti dell’elettorato catalano che, secondo le inchieste, sono d’accordo sulla celebrazione di un referendum, indipendentemente da ciò che voterebbero. Spetta solo ai catalani decidere il proprio futuro collettivo, e chiederglielo direttamente è l’unico modo ragionevole per sapere l’opinione di ciascuno su una questione tanto importante.
Un referendum, in definitiva, è una buona soluzione per tutti. Per I catalani senza dubbio perché, qualunque sia il risultato, condurrà all’apertura di un dialogo su una nuova relazione con la Spagna basata sul riconoscimento dei loro diritti come popolo, compreso quello di dire l’ultima parola sulla forma che questa relazione assume.
Il referendum finirebbe con l’essere utile anche per la Spagna giacché obbligherebbe il suo governo e le altre forze politiche a ripensare le basi del regime del 1978, che fu il risultato della transizione verso la democrazia pensata e diretta da una classe politica nata della dittatura franchista. Una soluzione soddisfacente della questione catalana darebbe alla società spagnola l’opportunità di liberarsi, una volta per tutte, dei fantasmi del suo passato autoritario e di affrontare le anomalie di un sistema politico gravemente condizionato dalle sue origini.
Il referendum sarebbe positivo anche per l’Europa. In primo luogo, per una ragione pratica perché contribuirebbe a risolvere un problema secolare che altrimenti, lasciato a se stesso, peggiorerebbe ulteriormente aggiungendo un nuovo fronte d’instabilità a scala continentale. In secondo luogo, il referendum è una questione di principio. In questi tempi di incertezza politica, quando il progetto europeo è messo in discussione, la posizione decisamente pro europea dei catalani —basata su principi strettamente democratici e pacifici— si presenterebbe come esempio dell’unico modo accettabile di risolvere le differenze fra le nazioni e all’interno degli stati.
Presto o tardi tutti i paesi europei e le loro istituzioni dovranno prendere posizione su questa questione. Le aspirazioni legittime dei catalani ad essere riconosciuti come nazione storica con i propri diritti collettivi è una questione di democrazia; la ricompensa per la loro lotta, costante e pacifica, è una questione di giustizia.
Questo è un comunicato del Col·lectiu Emma condiviso dal Col·lectiu Praga e dal Col·lectiu Wilson.
(Tradotto dall´originale inglese da Marco Giralucci e Neus Soler)
Aquest és un comunicat conjunt preparat pel Col·lectiu Emma i que també fan seu el Col·lectiu Praga i el Col·lectiu Wilson.
Traduït de l’original anglès. També el podeu llegir i compartir en àrab, esperanto, portuguès, francès, espanyol, català, italià i alemany.